In questi racconti viene usato spesso un linguaggio esplicito e volgare per una mia precisa scelta. Mi sembra corretto avvisare i potenziali lettori in modo che possano scegliere se continuare con la lettura o meno.





mercoledì 23 giugno 2010

Vita da Bar ep. 32 L'Orlando Innamorato.


Riprendendo dal concetto che le bionde agiscono e le more ci pensano, lancio inequivocabili segnali alla Manga Girl che beve un Americano al banco.
Il barman ha la capacità di cadere innamorato anche più volte nella stessa sera, a parte Peter che scopa anche più volte nella stessa sera ed è diverso. L'amore del barista è solitamente platonico ed è punteggiato di appuntamenti al prossimo Mojito, occhiate e sorrisi, per Peter bisogna fare un discorso a parte, chiaramente. L'amore di una sera viene sostituito dalla ragazza della sera successiva ed è un gioco sostanzialmente indolore.
Ma questa è tutta la settimana che me la trovo al bar e ne sto facendo una malattia: sarà perché le ho sfiorato la mano, perché l'ho scontrata involontariamente a Ground Zero, perché mi ha sorriso con dolcezza, perché mi ha chiesto come mi chiamo.
O sarà perché ho sognato di schiacciarmela in magazzino.
Comunque sia prima di passare all'azione (non sono Peterpenis con la sua bionda magica aurea) le mando ripetuti segnali fatti di occhiate e sorrisi. Le ho perfino offerto da bere. Io! Ma la Manga Girl è mora e le more ci pensano, prima di farsi schiacciare in magazzino dal primo barman che capita.
Dopo avermi sorriso sensuale tenendo la cannuccia con i denti la mora dagli occhi grandi come quelli di un manga sparisce inghiottita dalla folla.
Ho bisogno di scassarmi una birra per far scendere il tasso di testosterone che offusca le capacità motorie, di giudizio e sensoriali.
Chiedo il cambio al barback che non aspetta altro di mostrare la propria capacità dietro al banco: dopo aver servito Johnny Jack può servire qualsiasi normal scientists che frequenta lo Star Wars.
Nel parterre c'è calma, la gente è tranquilla come fosse un privè con il biliardino. La maggior parte di loro è infatti in attesa del proprio turno.
Dopo la prima golata di birra una mano si posa sulla mia schiena, al centro esatto.
“Ciao, barman.” E' la Manga Girl.
Mi giro e mi ritrovo assolutamente impreparato a questo incontro.
“Ciao.” Timido e imbarazzato non so cosa altro dire.
Meno male che ci pensa lei. Inizia a parlarmi di cose che non sento. Mi fischiano le orecchie e sto cercando di pensare cosa farebbe Peter in questa situazione.
Intanto non starebbe zitto ma sarebbe lui a condurre il gioco, con pochi passaggi sarebbe già nell'area avversaria pronto a infilarsi nella difesa come un coltello caldo nel burro. Nel caso di una difesa solida tenterebbe il tiro da tre. Io invece faccio paragoni assurdi fra tecniche di corteggiamento e sport mischiando calcio e basket. Il tutto in solitario: chissà che espressione devo avere.
La Manga Girl con il suo sorriso dolce e quegli occhioni dove deve essere facile perdersi continua a parlarmi.
Non so assolutamente cosa mi stia dicendo.
Cazzo ho bisogno di un appiglio, un aiuto, una intuizione.
“Scusa non ho capito.” Scusa non ho capito? Scusa non ho capito è l'unica soluzione che il mio cervello ormai in pappa è riuscito a darmi? Scusa non ho capito? Sono ancora imbarazzato per la performance del mio cervello che la mora e minuta ma proporzionata Manga Girl mi ripete l'ultima frase.
“Dicevo che lavori bene. Ti ho osservato durante questa settimana.”
Ora l'ho ascoltata e ho compreso cosa ha detto. Rimango perplesso. Forse lavorare male può essere pregiudizievole sull'avere un rapporto occasionale.
“Grazie.” Rispondo con un sorriso che la dice lunga sul mio stato confusionale.
Mi perdo nuovamente nei miei pensieri che fra l'altro la riguardano molto da vicino e perdo di nuovo il filo dei suoi discorsi.
Annuisco al suono della sua delicata voce mentre penso alla voglia di baciarle le labbra.
E' li.
Mi parla guardandomi negli occhi.
E' vestita da fumetto giapponese.
E' come se mi sbattesse le ciglia ammiccando e mi dicesse: “ehi moro, ti dai una mossa, prima che me ne vada? Il tuo collega biondo sarebbe già alla sigaretta post-prestazione.”
O almeno questo è quello che io sento e il mio corpo, senza che ne abbia controllo alcuno, passa all'azione.
Le sfioro la mano per toglierle il bicchiere vuoto che tiene inutilmente.
“Ti faccio un altro Americano?” La interrompo.
“Grazie, volentieri.” Sorride.
Le poggio una mano sulla mano perché mi giro per ordinare al mio collega di farmi il long drink e ho paura di perderla. Ho paura di girarmi e non trovarla più.
Invece è ancora li, ci guardiamo con occhi magnetici, ci trasmettiamo una energia che non posso sopportare a lungo, rimaniamo in silenzio.
Le opzioni sono due: torno dentro e abbandono questa situazione che sta diventando intollerabile, oppure la bacio e faccio terminare questa situazione che sta diventando intollerabile.
La prendo per il polso, vorrei portarla via con me, da qualche parte a godere di questo effimero momento, perché è un momento che svanirà nell'attimo in cui si compirà qualsiasi atto.
La prendo per il polso e la guardo negli occhi.
Forse ci siamo, forse stiamo per avere quell'orgasmo emotivo alla fine del quale tutto tornerà piatto finché non si presenterà un'altra situazione simile.
Ci avviciniamo come due magneti.
Lenti ma inesorabili.
Penso io.
Non è così.
Il mio collega posa in mezzo a noi, lenti ma non inesorabili, quel cazzo di Americano che gli ho ordinato e la magia svanisce.
Scivolando in un tubo di vetro dove consumo le unghie, provo a ricreare la situazione.
Ma non è destino. Le squilla il telefono.
Risponde “Lo so, arrivo!” senza dar modo al suo interlocutore di dire qualsiasi cosa.
Mi accarezza la mano con cui le tengo ancora il polso.
“E' meglio che vada.”
Il coito emotivo è stato interrotto.
Le bacio la mano prima di liberarla e fra i denti, come fosse una minaccia, le dico che è bellissima.
Frustrato torno a servire gli scienziati.
Oggi sarò io il molesto per loro, finirà così, lo so.

domenica 13 giugno 2010

Vita da Bar ep. 31 Pirati!


La sicurezza stasera fa i cento metri ad ostacoli ogni cinque minuti: non li ho mai visti correre tanto.
Sarà il vento caldo del deserto che scombina quei pochi neuroni ubriachi della clientela scienziata, sarà la musica nervosa e sincopata della Guest Star che sta in consolle, fatto sta che ogni cinque minuti c'è una rissa da sedare.
Anche noi dietro il banco siamo nervosi, a parte Peter che si sta procacciando la sua dose di sesso quotidiano.
Oggi porta un baffetto stupido, Peter, ma a quanto pare il suo fascino biondo non ne risente.
Durante le mie sessioni di logorrea post lavorativa, dopo la terza birra, ho sempre sostenuto che le donne bionde ragionano più lentamente delle more ma agiscono più velocemente. Peterpenis è l'esempio che questo vale anche per gli uomini.
Una giovane ragazza mostra il capezzolo turgido coperto dalla camicetta attillata e Peter le ha già offerto il long drink. Poi con la sua misteriosa tecnica l'ha convinta a seguirlo a Ground Zero.
Duca fa la solita scenata di gelosia, inveendo contro Peter e augurandogli di prendere almeno la gonorrea.
Poi la nebbia.
Una nebbia fitta e improvvisa circonda lo Star Wars. Abbiamo perso di vista il cirinquito, vediamo giusto la gente che è all'interno del locale e questa inquietante massa bianca che cerca di penetrare da qualsiasi fessura, un po' come Peter.
Mi metto in contatto con la sicurezza via radio i quali mi confermano che anche loro non vedono un cazzo a un metro da loro. Giubeca, ridendo, dice che se allunga il braccio non vede la mano.
Poi lo sento urlare: “La mia mano! La mia mano!”
Ferrotre urla qualcosa di incomprensibile così come Predator.
Mi spavento e cerco di rimettermi in contatto con loro.
Silenzio.
Raggruppo intorno a me la squadra mista che comando e gli dico di armarsi con bottiglie e cavatappi. Ho come l'impressione che stia per accadere qualcosa di insolito quando vedo un antico veliero squarciare la nebbia.
Ci sfila davanti mostrandoci tutte le bocche da fuoco degli antichi cannoni.
Poi antichi pirati armati di sciabole e moschetti arrembano lo Star Wars Bar.
Il dance floor si è svuotato, nel mentre.
Nel panico ordino alla mia truppa di lanciare bottiglie di alcolici verso l'ingresso ovest, dove abbiamo visto passare la nave pirata.
Dico loro di lanciare l'intera scorta di rum, nel frattempo io preparo una molotov con una bottiglia di vodka. Quando sono pronto porto la mia truppa verso l'uscita est e lancio maldestramente la mia molotov improvvisata.
L'aspettativa era quella di una esplosione importante con fiamme alte almeno fino al soffitto.
In realtà si sente solo il rumore della bottiglia che si rompe, le fiamme sono alte qualche centimetro, vacue e deboli. Sembrano un fuoco fatuo.
Oltre che brevi.
Ma tanto basta a far desistere uno degli antichi pirati ad entrare anche se non rinuncia a spararci con il suo schioppo. Fortuna vuole che la mira è scarsa e l'antico fucile deve essere ricaricato ad ogni singolo colpo.
Abbiamo così il tempo di arrivare fino al molo est. La nebbia nel frattempo si è diradata e cominciamo a rivedere il cirinquito dove la gente continua a bere e ballare come se nulla fosse. Vedo anche il pirata che ci ha sparato poc'anzi andare calmo verso il bar e prendere una birra.
Qualcosa non mi quadra, non torna.
In mezzo alla solita clientela ci sono un sacco di antichi pirati che bevono e ballano in perfetta armonia coi tempi nostri, così simili ai loro, vero, ma tecnologicamente diversi. Dovrebbero quanto meno essere perplessi dalla musica che arriva da scatole chiuse e dal rum in bottiglia invece che in botti servito con coca cola invece che bevuto come torci-budella.
Invece il perplesso sono io.
E lo sono ancora di più quando Giubeca mi fa sobbalzare arrivandomi alle spalle con tutte e due le mani integre.
Ride.
Ci sei cascato, mi dice.
“Ci sono cascato in cosa?” Chiedo.
“Allo scherzo della mano.” E ride.
Ok. Giubeca e la sicurezza mi hanno minchionato con lo scherzo dell'incidente. Ma sti cazzo di pirati da dove vengono?
La nebbia che ha avvolto il bar cosa è stata?
Aziono il traduttore intergalattico per capire cosa sta dicendo Predator e scopro che stasera sarebbe attraccato con tanto di effetti speciali e figuranti acrobati il veliero di Jack Sparrow, quello usato nel film “I Pirati dei Caraibi” per una mostra permanente.
Il pirata figurante ci ha sparato a salve, chiaramente.
Torno dentro mortificato con la mia truppa mista, ferito nell'orgoglio.
E a peggiorare le cose incrocio Peter che torna da Ground Zero soddisfatto della prestazione sessuale (offerta o ricevuta) che mi chiede cosa è successo.
Nebbia, pirati, scherzo, panico, gli riassumo.
Mi porge uno dei tanti plastificati posati sul banco che pubblicizzavano l'evento e mi dice: “Non lo sapevi?”
No. Non lo sapevo. Ed è tutta la sera che uso quei plastificati come sottobicchieri.
La mia truppa mista si dice ignorante dell'evento e io rimango mortificato.
In segno di prostrazione vado a pulire la dove ho fatto buttare un'intera scorta di rum, lasciando il barback al banco.
Non riesco a trattenere un porcatroiaporca quando lo vedo fotografarsi con Johnny Jack Sparrow Depp a cui ha servito un banalissimo rum e cola che io avrei fatto meglio.
Quando Johnny Jack Sparrow Depp mi passa accanto per uscire mi lancia un occhiata di commiserazione e in un italiano improbabile mi dice, battendomi sulla spalla: “Peggiora sempre prima di migliorare.”
Io poggio un braccio sul fianco, impugnando la scopa come fosse una bandiera piantata per terra e dal cuore mi esce un “Ma Vaffanculo, Jack!”
“Hai visto?” Mi risponde lui. “Non sta già migliorando?”

mercoledì 2 giugno 2010

Vita da Bar ep. 30 Fra Realtà e Sogno (parte II)


La serata scorre via cinque scontrini alla volta, fino a che si alzano le luci, si spegne la musica e noi dello staff, barman, barback e cassiera brindiamo alla fine dell'assedio con il primo alcolico che abbiamo a portata di mano.
Ognuno commenta la propria serata, le proprie piccole avventure, le cazzate sparate dai Rubia e dalle Hack quando sentiamo degli strilli provenire dal cirinquito. Regina Tequila sta rincorrendo Duchessa Clara Campari Barca in Bosco che si è tolta le collant e se le è infilate in testa. Sembra un elfo della foresta che dispensa allegria. Regina Tequila ha finito gli shot che Peter le aveva fatto trovare sul banco e Duchessa Campari ha bruciato una scorta di gingerini rossi da dieci gradi a bottiglietta. Si stanno divertendo e noi le guardiamo divertiti. C'è anche la moglie di Vinni in mezzo che ride alterata dall'alcol e probabilmente indispettita dall'ultima bravata che il marito gli ha fatto in un momento di debolezza. Lo aveva visto sbaciucchiarsi con Maga proprio mentre io minacciavo di sputtanarlo.
Quando Regina Tequila bracca Duchessa ho veramente l'impressione che le cose potessero essere andate in maniera diversa se avessi fatto un movimento diverso questa sera. Io so già cosa sta per succedere e mi rovino la sorpresa da solo anticipando il bacio di Regina sul collo a Duchessa, che però è ubriaca e non estatica. Inizia a piovere, tamburellando sui vetri e sul tetto. Agata, la moglie di Vinni, si unisce alle ragazze in un bacio giocoso e ludico più che dettato dalla libido.
Le donne riescono sempre a sorprendermi con quale facilità giochino con la sessualità.
Insomma si sta avverando tutto quello che ho visto nel mia proiezione temporale ma senza la parte morbosa con cui l'ho vissuto la prima volta. L'unico a soffrirne è Vinni, che guarda la moglie sapendo che per un po' dovrà starsene in punizione.
Credo che le ragazze giochino sul fatto di essere osservate e bagnate dalla pioggia, regalandoci un innocente ma generoso e divertente spettacolo di sensualità promessa. Per poi tornare a strillare e a correre a piedi nudi per l'intero locale.
La situazione è allegra e aiuta tutti a decomprimere la serata importante che abbiamo affrontato.
Duchessa Campari arriva più volte al banco pretendendo il suo gingerino in bottiglietta come premio per aver battuto Regina Tequila a chissà quale gioco.
Ad un rifiuto di Peter Duchessa promette di mostrargli il seno. Come per magia il gingerino compare sul banco e la maglietta si alza come quella di un calciatore esultante dopo un gol. Quasi illuminata da questo nuovo modo di indossare la maglietta Duchessa Campari inizia a correre con la maglia alzata, le collant in testa e urlando qualcosa di incomprensibile.
Poi torna al banco a bersi la sua ricompensa.
Con molta difficoltà riusciamo a portare a termine le pulizie e finalmente anche noi maschietti diamo bella mostra di noi urlando e smanettando a calcio-balilla.
E il mio turno a star fuori quando sento punta tacco in passerella. Poi una voce con una leggera inflessione straniera, forse francese, chiede se siamo chiusi. E' nascosta nell'ombra della notte.
Non posso crederci, il destino che ritorna.
Mi avvicino al cancelletto chiuso deciso a fare il fico della situazione.
“Dipende.” Esordisco.
Lei si avvicina rimanendo col viso nell'ombra della notte.
“La tua occasione di vedermi l'hai avuta, maschietto.” Mi dice. “Sono venuta per Regina e Duchessa.” Mi spinge di lato e entra. Non riesco a vederle il viso. Poi viene ingoiata dalla piattaforma galleggiante, dove raggiunge Regina e Duchessa che sono sedute per terra a parlare.
Si sdraia con una naturalezza disarmante accanto a Regina, posando la testa fra le cosce di Duchessa che le carezza la testa. Tutto diventa di nuovo una visione morbosa anche se i loro baci sono delicati e sembrano solo sfiorarsi con le mani.
Ritorna quella situazione di imbarazzo visibile.
Rimango a guardarle come un voyeur accusando le loro occhiate che mi lanciano a ripetizione.
Si baciano e si accarezzano per non so quanto tempo e io rimango intrappolato in una sorta di estatica visione fino a che Peter non mi chiama. E' il mio turno a calcio-balilla.
Scosso dalla voce esterna trovo la forza per allontanarmi.
Affondo la mia concentrazione sulla partita, cercando di scordare le tre ragazze in chiatta.
Infilo la pallina nella porta avversaria per il sei a quattro finale e vengo applaudito dalle due nobildonne della congrega che ci hanno finalmente raggiunto nel parterre.
“Dov'è la francese?” Chiedo.
Le due ragazze nicchiano. Quale francese? Non c'era nessuno con noi. Ma chi? Dove? Mi rispondono all'unisono Duchessa Campari e Regina Tequila.
Mi stanno quasi convincendo che soffro di allucinazioni quando un gota rossa di una e la forzata deglutizione dell'altra mi danno ragione.
“Ha ammaliato anche voi?” Chiedo.
Il silenzio è una risposta più che soddisfacente.
E ora sto meglio, quasi sollevato: non ero io il morboso.
Mi spiace solo che probabilmente non la vedrò mai più.
Oddio, pensandoci bene, in realtà non l'ho mai vista.