In questi racconti viene usato spesso un linguaggio esplicito e volgare per una mia precisa scelta. Mi sembra corretto avvisare i potenziali lettori in modo che possano scegliere se continuare con la lettura o meno.





mercoledì 16 gennaio 2019

Amore e Morte (fade to red, racconto fuori tema)

Stavo seduto sul greto del fiume illuso di poter veder passare i cadaveri dei miei nemici e non sapevo di essere un cadavere io, spiaggiato, immobile e cristallizzato. Come c’ero finito lì, in questa limbica situazione non lo so e non mi ponevo neanche la domanda. Perché non sapevo, ignoravo di essere morto, anzi cadavere, che è diverso.
Non mi resi neppure conto che in realtà non ero neanche seduto: avevo sì le gambe incrociate, ma ero adagiato su un fianco e il fiume, da quella posizione, mi sembrava una cascata, placida, strana, infinita, senza l’incontro impetuoso con la perpendicolare della sua caduta. Come se sospeso ne vedessi solo la parte centrale.

Immagino perciò, che quello che accadde dopo, quello che vidi, fosse solo la fantasia di un cadavere. Come un cadavere, che è diverso da morto, possa immaginare qualcosa, non lo so. Non so neppure come possa io ricordare o raccontare; forse sono gli ultimi scomposti, convulsi, dilatati nel tempo, contatti fra neuroni, le ultime informazioni vere o falsi ricordi che passano di corsa verso l’uscita, sapendo che la nave sta affondando.

Fatto sta che la vidi, lei, proprio lei, quella che amandola ancora avrei voluto di più veder passare come cadavere, camminare in modo innaturale sul greto del fiume. Vidi che mi vide. Mi aspettavo una mano tesa, un saluto, un aiuto, un sorriso. Un gesto di pace. Invece la vidi ignorarmi, guardarmi oltre. Forse meritatamente, forse no.
Chi più è umano lo sia, per favore. Qualcuno faccia il primo passo, riconciliamoci, pensai o credetti di pensare.

Lei continuò a passeggiare su e giù, si fece vedere per ignorarmi.
Io la chiamai ma non uscì fiato.
Le feci un gesto per richiamare l’attenzione. Ma non era vero, lo credetti soltanto.

Si sedette, sempre in una posizione innaturale, che non riuscii a decifrare.
Si sedette di fronte a me, ma mentre io ero parallelo alla cascata, lei rimaneva perpendicolare al fiume.
Guardando sempre oltre, dietro di me.

In un momento imprecisato di questa dilatazione temporale una figura scura comparve alle sue spalle.
Raccolse un sasso dal greto secco del fiume e con violenza la colpì.
Avrei voluto avvisarla, urlai il suo nome, -Stai attenta! Dissi, ma non era vero.
Anzi, non ricordavo neanche più il suo nome. L’avevo visto abbandonare la nave di corsa, anche lui.
Lei come una statuetta su una scrivania scontrata per caso, si accasciò su un fianco, ancora con le gambe incrociate.

Ora un rigolo di sangue sporca le pietre.
Ora ci guardiamo negli occhi.
Una parvenza di sorriso compare sul suo viso di persona per bene che crede di essere.
Il rosso sangue aumenta.
Piano piano tutto torna ad avere senso. La cascata non è una cascata, io sono cadavere spiaggiato, lei pure, non riusciamo a comunicare a parole e i gesti sono ingessati, eppure ci capiamo lo stesso. Ci sentiamo, ci aiutiamo nella percezione, condividiamo il punto di vista, riusciamo a dare un significato alla cosa.
Il rosso avanza.
Si unisce al mio.
Lei si dice dispiaciuta di avermi colpito alle spalle.
Io le rispondo di averlo fatto per vendetta e me ne pento.
Anche il fiume è rosso.
Ora siamo in sintonia, ci capiamo, comprendiamo il nostro amore.
Ora che è tardi.
Ora che da cadavere comprendo di essere morto.
Allunghiamo le braccia, uno verso l’altro nel vano tentativo di ricongiungere i nostri corpi.
Ora che tutto sfuma nel rosso.

Fade to red.