In questi racconti viene usato spesso un linguaggio esplicito e volgare per una mia precisa scelta. Mi sembra corretto avvisare i potenziali lettori in modo che possano scegliere se continuare con la lettura o meno.





domenica 28 febbraio 2010

Vita da Bar ep. 17 Meno di un mese fa

Big Boss e Roi Boshe sono in riunione con un alto ufficiale dell’Interstar Pol.
Sta facendo loro una proposta difficile da respingere: mezzo milione per organizzare un blitz e catturare alcuni pericolosi criminali che frequentano il locale.
I due non si domandano neanche perché l’Interstar Pol chieda il permesso per fare una cosa del genere che hanno già accettato.
Il giorno dopo l’Interstar ha già sistemato tutte le microcamere che servono.
Non fanno in tempo a passare venti giorni che viene eseguito il blitz.
Blitz che ora ho la possibilità di rivedere, grazie al sosia di Big Boss.
I militari hanno finito la loro cernita: ventisette persone, quasi tutti nord venusiani, sono stati portati nella struttura galleggiante.
Ad un certo punto tutto vibra. Il rimorchiatore sta portando via la struttura galleggiante.
Avanti veloce. Pochi secondi dopo si ferma, i militari invitano tutti, con le buone o con le cattive, a scendere dalla chiatta.
Cambio visuale. Vengono caricati su un traghetto dell’Interstar Pol.
Qualcuno oppone resistenza e per questo viene usato il calcio delle mitragliette come mezzo persuasivo.
Dopo qualche minuto sono tutti sul traghetto.
Il traghetto si allontana.
Altro cambio di visuale: il traghetto dall’interno.
La situazione è abbastanza statica, mandiamo avanti veloce.
Passa qualche secondo e cambia qualcosa.
Vediamo Fico Barbozo vestito da graduato distribuire passaporti ai presunti arrestati.
Vediamo le loro facce incredule prima esultanti dopo.
Vediamo i nord venusiani scendere e venire imbarcati su altre piccole imbarcazioni che si allontanano velocemente.
Poi vediamo il traghetto esplodere in un punto imprecisato del Mediterraneo.
Sembra di vedere un bel film d’azione, invece è la registrazione del blitz che io e Grinij stiamo guardando dal suo computer.
E’ tutto documentato e sembra concordare con quello che lo stesso Fico Barbozo mi ha raccontato qualche ora fa, quando l’ho visto uscire dal montacarichi.
Fico Barbozo è il fratello gemello di Big Boss.
Fico Barbozo, qualche anno fa, è scappato in Argentina e ha cambiato nome.
Fico Barbozo, ora, organizza missioni impossibili per salvare e dare nuove identità a rifugiati politici che l’Interstar Pol ricerca sotto compenso per i vari stati.
Mi dice tutto questo e mi da un codice d’accesso per poter vedere tutte le registrazioni del blitz.
In quei due minuti in cui mi parla, Big Boss è al telefono e guarda il mare.
Quando Fico Barbozo se ne va il Boss chiude la telefonata e si gira.
-Ti saluta tuo fratello, gli dico.
-Cosa? Dice lui.
-Ti saluta Barbozo.
Lui rimane incredulo, non capisce se scherzo o se so qualcosa.
Io invece corro a casa di Grinij a vedere il bel film che mi ha suggerito il fratello.
Fine dei giochi, fine della storia e ritorno al normale corso delle cose.
Forse…

giovedì 25 febbraio 2010

Vita da Bar. ep 16 Chi è Fico Barbozo parte II

Un’altra notte passata a dar da bere agli scienziati si frappone alla notte del blitz.
Ma questa notte qualcuno sa qualcosa in più: io, Michelle e Grinij sappiamo di essere spiati da più di trenta microcamere.
Trentasei per l’esattezza.
Quando Grinij, ieri, ha trovato la sorgente, il portatile ha diviso in trentasei punti di vista lo Star Wars.
E uno era proprio dietro di noi che smanettavamo.
-E’ qui la sorgente. Mi ha detto Grinij, con il suo accento dell’est.
-Qui allo Star Wars bar.
Ora so che qualcuno ci stava spiando e so che quel qualcuno sa che noi sappiamo.
Non è molto, ma almeno adesso possiamo spiare chi ci spia facendo rimbalzare il segnale delle microcamere dal computer dell’ufficio a quello di Grinij.
Al banco Peter ha le solite fans, mentre dalla mia parte c'è un panda, una bagascia con il suo pappone e uno zio con la nipotina trentenne.
Il Panda vuole il suo solito Jack scontato con l’aggiunta di coca cola.
-Jack e cola, dico io.
-No. Jack con l’aggiunta di coca cola. Ribadisce lui.
La bagascia aggancia un cliente, un anglofono che se ne va tutto contento, forse perché non sa ancora quanto gli costerà e il pappa ordina subito una bottiglia di Berlucchi con i soldi che incasserà.
Lo zio e la nipotina ordinano due oriente rosso.
Parlano con un accento spagnolo.
Mentre preparo il cocktail sbircio le loro spalle.
Non è una coincidenza: Fico Barbozo, recita la marca delle loro t-shirt.
-Già. Dice lei. Siamo tanti e diversi.
-E cosa volete?
-Farti capire alcune cose.
-Tipo?
-Che se prendi a calci in mezzo alle gambe un trans, gli fai male lo stesso. Dice lo zio Barbozo.
Assaggiano il drink.
-Ce lo avevano detto che lo fai buono. Grazie, mi dicono. E si allontanano.
Chiamo Michelle a casa.
-Tutto bene?
-Si, perché?
Le racconto cosa è successo. Le dico anche di stare attenta.
La nottata passa via con qualche ansia ma zio e nipotina Barbozo non li vedo più.
Giubeca e gli altri stanno sgomberando il locale dagli ultimi rompicoglioni molesti.
Mi stappo una birra, quando squilla il telefono. E’ Grinij che davanti ad un computer ci osserva da casa sua.
-Dimmi.
-Sai chi c’è in questo momento in ufficio a controllare le registrazioni del blitz?
-No. Ovvio.
-Big Boss.
-Che cazzo dici? Big Boss è nel parterre, al telefono, come al solito.
-E’ vero anche questo. Lo vedo.
-Non capisco. Gli dico.
-Neanche io ma guarda chi sta salendo con il montacarichi.
-Mi giro, si apre la porta dell’ascensore e mi ritrovo davanti il sosia di Big Boss.
-Ola, tutto bene? Sembra che tu abbia visto un fantasma. Mi dice con un chiaro accento spagnolo.
Mi guardo intorno: siamo io e due Big Boss. Nessun altro.
A parte Grinij, che ci sta osservando da lassù…

martedì 23 febbraio 2010

Vita da Bar. ep.15 Chi è fico Barbozo?


E' la solita serata al bar di guerre stellari. Giubeca urla, Zichichi vuole due ml di vodka in più e il ballerino di taekwondo viene portato fuori a forza prima che il suo karma negativo influenzi tutta la clientela.
Sul palco i Singing Mind suonano senza strumenti, seguirà una selezione di file musicali proposti dal Dottor Zeta, al secolo Zoiberg, che si sta ubriacando di Mint Julep e strafogando di gamberetti.
La gente che non balla, e c'è poco da ballare con i Singing Mind, è svaccata sui triclini a fumare dai narghilè tabacco aromatizzato e addizionato.
Francine flirta con chiunque venga al banco, uomini e donne, e la serata scorrerebbe via quasi piacevole, se non fosse che io aspetto notizie da Grinij.
E' un momento di stanca e Francine si prende una pausa. La vedo fuori che ci prova con Polette e non posso fare a meno di domandarmi cosa abbia stasera.
Quando la vedo allontanarsi con la responsabile del personale capisco che passerò la prossima ora da solo e le auguro che le rimanga un pelo fra i denti.
Ed è proprio in quel momento che mi si avvicina un tipo al banco.
Quarant'anni, robusto il giusto. Indossa una maglia nera con una manica bianca. Sulla spalla ha una etichetta che non posso fare a meno di leggere: Fico Barbozo.
Mi chiede un Oriente Rosso.
Ha un accento spagnolo.
Poso il cocktail sul banco, lo assaggia.
Bravo, mi dice.
Grazie. Dico infastidito. Sono sempre infastidito dai complimenti.
So cosa stai facendo. E' meglio che la smetti immediatamente. Mi dice senza neanche guardarmi, sorseggiando il suo Oriente Rosso.
Scusi?
Ti conviene lasciar stare. Questa volta mi guarda. E non mi piace.
Prendo la radio e chiamo i ragazzi della sicurezza. Non so cosa voglia questo tipo, ma non mi piace averlo qua.
Lui sorride e si allontana.
Arrivano Lex e Ferrotre. Intanto lui va lento verso la passerella.
Lo indico ai ragazzi e dico loro che mi ha minacciato per non so bene cosa.
Dico anche che se dovesse uscire di lasciarlo andare, forse è solo ubriaco.
Francine rientra e i buttafuori escono.
Scusa, dice Francine sorridendo.
Niente, dico io. Hai qualcosa fra i denti, aggiungo.
Cosa, dove? Chiede quella stordita.
Sto per ridere, quando mi ritrovo al banco Lex, Ferrotre e lo spagnolo di prima.
Cosa bevi, dice Lex allo spagnolo.
Lui lo sa, risponde sorridendomi e stringendomi l'occhio.
Guardo i due della sicurezza, perplesso.
Per me e Ferrotre un succo. Per lui quello che sai. Dice Lex.
Preparo l'Oriente Rosso. Tiro fuori i due ace per i ragazzi. E li guardo incredulo uscire come se fossero amici da sempre.
Prima di uscire lo spagnolo si gira e fa il gesto di spararmi con le dita, sempre sorridendo.
Io bestemmio, quasi mi rompo una mano tirando un pugno sul banco e esco a fumarmi una sigaretta.
Arriva Grinij, finalmente. Con una buona notizia, finalmente: ha trovato la frequenza della microcamera. Possiamo risalire alla sorgente.
Mi passa il componente elettronico.
Vado a rimettere le cose a posto, ma mi aspetta una sorpresa: qualcuno ha già pulito il tutto.
Spero che sia stata l'impresa di pulizia. Corro da Grinij che sta smanettando sul computer dell'ufficio, gli passo la nostra microcamera.
Controlla le registrazioni, gli dico.
Ci vuole qualche minuto.
Poi vediamo qualcuno togliere il chewingum dalla lente. Non è nessuno dell'impresa di pulizia. Non è nessuno di conosciuto, cazzo, e questo non è bene. E non è bene nemmeno il particolare che mi colpisce: l'etichetta sulla spalla.
E' una marca, se di marca si tratta, che non avevo mai sentito o visto fino a stasera: Fico Barbozo.
Non credo alle coincidenze.
E quasi quasi mi sento di dover seguire i consigli, specie quelli dati con la esse spessa della lingua spagnola.
Quella stessa esse che uso per leggere Fico Barbozo.
...

domenica 21 febbraio 2010

Vita da Bar. ep. 14 Bassa Tecnologia.

A due giorni dal blitz nessuno ne parla.
Siamo tutti un po' straniti e dobbiamo metabolizzare quel che è successo.
Io di più.
C'è il cambio turno, ma non per me che aspetto Michelle con una certa ansia.
Arriva.
Appena finisce di sistemare il banco esco dal bar, rubo il vassoio e il blocco comande a una delle cameriere e vado dai primi crucchi che vedo seduti.
Mi ordinano una birra e un cappuccino a testa che non gli porterò mai.
Sorrido, vado al banco e infilo il foglio che strappo dal blocco sul portacomande di Michelle.
Mi guarda strano, come a dire "perché fai il cameriere, oggi?".
Poi prende il foglio e legge la comanda.
Che non è una comanda.
Da qualche parte, qualche ora più tardi, qualcuno mi vede attraverso un monitor entrare nel bagno del personale seguito da Michelle.
Mi vede calarmi i pantaloni, mettermi comodo sulla tazza e vede Michelle che si inginocchia davanti a me.
Mi vede dire qualcosa e magari mi sente anche.
Vede la testa di Michelle andare su e giù come bene sa fare lei, la vede che si sposta e poi, spero, non vede più nulla perché uno spruzzo di vinavil diluito con acqua ha oscurato la microcamera.
Una microcamera grossa poco più della testa di un chiodo è stata sistemata in un pannello del controsoffitto.
Con la mia pistola ad acqua piena di vinavil mi è stato sufficiente coprire una zona non necessariamente precisa.
Mi tiro su i pantaloni continuando a gemere, nel dubbio che l'intercettazione sia totale.
Per essere sicuri, copro definitivamente la lente con la gomma che stavo masticando apposta.
Nel corridoio ho notato almeno altre tre microcamere, e altrettanto nel magazzino e nel bar. In tutta l'area dello Star Wars Bar saranno almeno una quarantina. E sicuramente hanno a che fare con il blitz dell'Interstar Pol.
Le ho scoperte la sera stessa, quando, dopo l'accaduto è arrivato Roi Boshe con la security. Era venuto a sincerarsi della nostra condizione fisica, a sostenerci, a darci un giorno di festa e un bonus in moneta per lo stress subito.
In cambio di cosa? Avevo pensato.
Sorpresa: non ci aveva chiesto nulla.
Io mi ero stappato la mia quinta birra che avevo mandato giù in tre sorsi.
A quel punto la mia vescica si era ribellata.
La conseguenza più immediata è stata che io andassi al cesso.
Quella collaterale che scoprissi la microcamera.
Il giorno dopo girai tutto il locale con cappellino e occhiali da sole a individuare le altre.
E ora sono intenzionato a scoprire chi sia lo spettatore.
Prendo Michelle sulle spalle che continua a recitare porcate. Sposta il pannello di polistirolo e come mi aspettavo trova una microcamera trasmittente, ovvero senza cavi. La sostituisce con un'altra, mettendola nello stesso identico punto. Coperta. Ho masticato un altro chewingum per coprire di nuovo la lente.
Ora non ci resta che scoprire la frequenza prima che lo spettatore mandi qualcuno a ripristinarla.
E si accorga che l'abbiamo sostituita.
Per fare ciò ci serve un complice: Grinij. E' stato il mio partner al lavoro per quattro mesi, ma soprattutto è un informatico.
Di quelli che si sono laureati sul campo.
E il suo sogno è diventare un hacker.
Quando io e Michelle usciamo dal bagno lo incrociamo nel corridoio.
Gli passo la microcamera stringendogli la mano.
Domani ti so dire, mi dice lui, mettendosi la mano nella tasca del giubbotto.
Io e Michelle sorridiamo a candid camera e torniamo al lavoro.
Aspettando domani.

giovedì 18 febbraio 2010

Vita da Bar. ep. 13 Stato di guerra (ovvero la sospensione del normale corso delle cose)


La musica copre il rumore degli anfibi che corrono sulla passerella.
Decine, forse un centinaio. Neri.
Quasi copre il rumore dell'elicottero che sorvola lo Star Wars Bar, la musica.
Il rombo si confonde con i bassi dei sub wufer.
Il buio copre gli uomini rana uscire dall'acqua e risalire il molo.
Poi si accende il faro dell'elicottero.
Gli uomini rana fanno muro lungo tutto il perimetro esterno del locale.
L'Interstar Pol fa irruzione all'interno del locale, si spegne la musica, si accendono le luci, come se le apparecchiature elettroniche avessero capito la situazione critica.
Piccoli fucili automatici ci vengono puntati contro.
Il dancefloor viene svuotato, i clienti fuori e i dipendenti tutti dietro al banco, con le mani sulla testa.
Ci stanno trattando come criminali. E nessuno sa cosa stia succedendo.
Ci ordinano il silenzio e l'immobilità.
Vedo attraverso il vetro che i colleghi del bar galleggiante vengono spintonati fino a noi.
Vengono presi anche alcuni colleghi del turno di giorno che erano rimasti a far serata allo Star Wars.
Tutti insieme come una grande famiglia. Tutti dietro il banco bar con le mani sulla testa e gli sguardi sbigottiti. Qualcuno un pò pallido, reazione commistiva di alcol e paura.
Tutti i clienti sono fuori.
Inizia una nuova cernita. Qualcuno viene portato sulla piattaforma, altri nel parterre.
Nel giro di pochi minuti ci sono una trentina di persone sulla chiatta, il resto delle persone viene accompagnata fuori.
Da quel poco che riesco a vedere sulla piattaforma ci sono solo Nord Venusiani e qualche Venusiano dell'est.
Gli uomini rana che sono usciti dall'acqua sganciano la piattaforma galleggiante in pochi secondi, intanto un rimorchiatore della CdP si è accostato. Poche e veloci operazioni e il bar galleggiante si allontana.
Il ponticello di metallo che collegava alla terra ferma la struttura cade in acqua. I tubi di scarico e carico si strappano e vomitano in mare acqua che a me sembra nera come una pozza di sangue di notte.
E' inutile dire che siamo tutti increduli, spaventati e sconcertati.
Arriva un graduato.
Chiama il Talebano.
Ci conosce tutti.
Di tutti conosce il ruolo e la posizione nella scala gerarchica.
Gli dice che la piattaforma sarà riportata fra un'ora.
Che ci saranno alcuni tecnici a nostra disposizione per riagganciare la struttura galleggiante.
Che è dispiaciuto per il disagio e che potrà rivolgersi al ministro degli interni per un eventuale rimborso.
Poi si accomiata dicendo "Tornate pure a divertirvi e a lavorare".
Con lui va via tutto il plotone in tenuta antisommossa.
Come arrivano in fondo alla passerella entra una squadra di tecnici e un’impresa di pulizia.
Siamo tutti ancora perplessi e spaventati.
Qualcuno butta giù un chupito per riprendersi, fra i clienti nel parterre qualche ragazza inizia a piangere.
Un'ora dopo, come promesso, arriva la chiatta.
Vuota.
Viene ripristinato il passaggio.
I primi ad entrare sono quelli dell'impresa di pulizia.
Noi tutti siamo accalcati sul bordo del molo.
Qualcuno giura di aver visto delle macchie di sangue.
Qualcuno, domani, giurerà che allo Star Wars Bar non è mai successo niente.
Niente.
Perchè niente è successo.

...Continua (forse).

martedì 16 febbraio 2010

Vita da Bar. ep. 12 Venti ore fa.


Venti ore fa, mentre svenivo di fronte a Vinni o Vivvi o come cazzo si chiama, la faccia di Peterpenis veniva violentemente sbattuta sulla tazza del cesso del personale (che non vuol dire che sia più pulita degli altri cessi).
La mano che sbatteva la testa era quella di Michelle.
E ciò risultava molto strano. Peter se l'era fatto succhiare più d'una volta da Michelle, amichevolmente: a Michelle piaceva il cazzo, tant'è che ne aveva uno proprio, a Peter la fica. Michelle dalla cintola in su è donna. Tutto a posto, perciò.
Per capire meglio cosa è successo bisogna tornare indietro di altre tre ore almeno.
Peterpenis sta percorrendo la passerella ed è incazzato con Cornelia, la sua ragazza del momento.
Ed è proprio Cornelia che lo chiama al telefono dicendogli che verrà al bar a fargli passare una serata di merda, che starà tutta la notte al banco a rompergli i coglioni e a fargli passare la voglia di scoparsi tutte le minorenni che incontra.
Peter crista e va nel panico.
Deve inventarsi qualcosa.
E ha un colpo di genio, quando, mettendo via il telefono, trova una busta nella tasca dei jeans.
Alle undici Cornelia è già lì. E sembra intenzionata a mantenere le promesse.
All'una, quando io stavo scendendo le scale in preda ad allucinazioni e problemi psicomotori, lei stava salendole. Aveva provato ad andare in bagno, ma c'era troppa gente.
Peter, non vedendo più Cornelia al banco esce a prendere una boccata d'aria. Crede che il suo geniale piano abbia funzionato. Fuori c'è Michelle, la bartender trans.
Peter gli chiede se le va di fargli un bocchino, che è un pò teso.
Perchè no, risponde Michelle.
Vanno nel cesso del personale.
Michelle se lo sta lavorando con mestiere più o meno quando apprendo che Vivvi si chiama Vinni. Ed è lo stesso momento in cui Cornelia riscende a ground zero con le chiavi del nostro cesso, gentilmente prestatele da Francine.
Io svengo.
Peter viene.
Cornelia ha la conferma di essere un alce.
Michelle esce dal cesso pulendosi la bocca.
E' un unico grande momento.
Peter non crede ai propri occhi: Cornelia è lì davanti a lui sana e vigile invece che svenuta in qualche angolo del dancefloor come pensava che fosse. Il suo piano perfetto è andato a puttane.
Non sa cosa dire e inizia a blaterare che non è colpa sua, che è stato costretto e altre cazzate del genere. Poco credibile, anche perchè è seduto su un cesso, con le braghe calate.
Cornelia lo guarda schifato e esce.
Lui la segue tirandosi su alla bell'e meglio i pantaloni e dicendole:
"Non penserai veramente che mi volessi fare quel travone di merda?"
Ma, sorpresa, il travone di merda è dietro la porta.
Lo colpisce con un diretto al volto che lo stende.
Poi lo prende per i capelli e gli sbatte la testa contro il bordo della tazza.
Presa dall'isteria gli urla che gli avrebbe rotto il culo e non metaforicamente, infatti gli cala i pantaloni e si tira fuori l'uccello moscio.
Ti faccio vedere io di cosa è capace questo travone di merda, lo minaccia.
Il tutto sotto gli occhi compiaciuti di Cornelia.
Peter è tumefatto e incredulo: la quantità di GHB che ha messo nell'acqua della sua fidanzata avrebbe dovuto stendere un cavallo.
Per un banale scambio di bottigliette invece sono io, dieci metri più in là, che vengo trascinato via, privo di sensi, da Giubeca.
Dubito che Peter mi possa vedere con la faccia piena di sangue.
Ventuno ore dopo è lo stesso Vinteig che mi racconta tutto questo al telefono.
Ma mi rimane ancora qualche dubbio, uno fra tutti.
Vinni? provo.
Bravo, mi risponde, questo te lo ricordi. Dimmi.
Volevo chiederti: se Peter stava prendendo dei calci nel bagno da Michelle, mentre io venivo portato a casa privo di sensi da Giubeca, lo Star Wars Bar chi lo ha chiuso?
La domanda giusta è un altra, mi dice Vinni.
Ovvero?
Chi lo apre, stasera?

domenica 14 febbraio 2010

Vita da Bar. ep. 11 La notte dei buttafuori intelligenti.


Ferrotre, Lex il biondo, Gionni, il secondino e Rhom sono la security dello Star Wars Bar, comandati da Giubeca che è più gentile del solito oggi: sorride e apre la porta ai clienti.
O forse ne ha preso uno che voleva entrare di straforo e lo tiene a testa in giù al di là della ringhiera, sul pelo dell'acqua, scrollandolo di continuo. Comunque rideva.
Sono confuso.
Zichichi e Dulbecco salutano dal banco dove li sto servendo Rubia e Hack, che discutono con Ferrotre sulle dimensioni del cosmo e sull'impatto ambientale delle centrali termovalorizzatrici.
Oppure si sta vantando delle dimensioni del proprio pene mostrando tutto l'avambraccio gonfio di muscoli ipertrofici.
Rhom seda una rissa a parole, convincendo i due contendenti a fare pace e a stringersi la mano.
Ma vedo anche una testa che sbatte violentemente e continuamente contro il vetro finché non fiotta sangue dal naso, dal sopracciglio e dal labbro, mentre l'altro ha la faccia sotto il suo scarpone. Il sangue cola dal vetro e Moicòl si scazza perché Zoiberg gli ha già detto che dopo dovrà pulirlo.
Gionni e il Secondino arrivano discutendo sui significati di Moby Dick, ognuno con le proprie teorie, originali e valide.
Subito dopo li vedo mentre guardano un pornofarm sul videotelefono di Gionni dove un tedesco, nudo, dice Ya! Ya! mentre si fa una gallina.
I due ridono divertiti.
Sono sempre più confuso. E mi gira un pò la testa.
Lex il biondo consiglia Lex lo scuro, uno dei miei capi, come comportarsi con la sua ragazza alcolista e tossicodipendente.
Qualche secondo dopo lo vedo procurarsi droga sintetica da uno spacciatore di passaggio.
A questo punto mi rendo conto di non stare affatto bene, eppure ho bevuto solo acqua, come d'abitudine: in servizio sono come uno sbirro, non bevo.
A fine turno posso anche perdere i sensi, ma non succederà mai durante il servizio.
Almeno questo è quello che pensavo fino ad ora.
Il Rubia di turno mi agita davanti uno scontrino blaterando qualcosa su da quanto tempo è qui ad aspettare.
Vorrei usare una delle mie solite frasi costruite ad hoc per l'occasione, ma il bar inizia a girarmi intorno.
Devo uscire, prendere aria, ma cazzo! non ci sono i maniglioni antipanico sulla porta-cristallo del retro e io fatico a trovare l'appoggio per aprire quella che mi sembra una tonnellata di vetro.
Scivolo e il peso morto del corpo mi aiuta a trovare un varco per uscire.
Respiro profondo, ma la situazione sembra peggiorare.
Cerco di andare a ground zero, evitando il montacarichi.
Le scale non sono mai state così ardue da fare, ma non cado.
Cerco di arrivare al primo cesso per sciacquarmi la faccia, ma frano su una ragazzina che si spaventa e urla.
Nita mi prende per i capelli e mi chiede che cazzo ci faccio abbracciato ad una puttanella.
Io mi chiedo cosa cazzo ci faccia qui la mia ex, ora.
Il corridoio è obliquo, le persone doppie.
Nita si trasforma in una amica della ragazzina.
Devo trovare un posto rassicurante. Provo ad aprire la porta del magazzino.
Non ci riuscirò mai, penso.
Fortunatamente sta uscendo Regina Tequila. La scontro e lei mi guarda storto, offendendomi in galiziano, perché non le ho chiesto scusa.
Il magazzino è troppo stretto.
Provo l'ufficio, che ha l'aria condizionata.
In ufficio c'è Vinteig. Sta tirando di coca.
A questo punto ho la certezza di essere stato drogato: è più facile vedere un buttafuori intelligente che Vinteig fare uso di droghe.
Vivvi!, rantolo in una disperata richiesta d'aiuto.
Ma porca di quella troia, sono tre anni che lavori per me e sono tre anni che mi chiami Vivvi. Il mio nome è Vinni, cazzo! Vinni! Si lamenta Vinteig.
E' l'ultima informazione che il mio cervello registra prima del black out.
Svengo e inizio a sbattere per le convulsioni.
Mi risveglio a casa diciannove ore dopo, e piano piano comincio a ricordare e a mettere insieme i pezzi della serata precedente ma realtà e allucinazioni si uniscono per osmosi.
Le uniche sicurezze che ho sono che qualcuno in qualche modo mi abbia drogato, che voglio scoprire chi e perché e che i ragazzi della sicurezza hanno fatto solo una delle cose che gli ho visto fare: la seconda.
Su Vinni ho qualche dubbio.
O Vivvi?

giovedì 11 febbraio 2010

Vita da Bar. ep. 10 El Rodeo.


E' la sera del Rodeo. Il Toro sgroppa nel parterre e la gente si accalca intorno al recinto temporaneo dove il Talebano, Vinteig e il redivivo Moicòl distribuiscono cappelli da caw-boys e guanti di pelle.
Inizia la kermesse dei corpi sbalzati per terra dopo qualche secondo, pochi sfiorano i trenta.
Ginocchia sbucciate e spalle lussate, ma tutti sembrano divertirsi.
Dentro qualcuno balla e qualcuno butta giù chupiti di tequila alla goccia per farsi coraggio.
Dieci euro per misurare la resistenza delle tue palle: tre, trenta, cinque o ventuno secondi.
Il Talebano aziona il cronometro luminoso e tutti urlano e fanno il tifo.
La bruna al banco guarda divertita quello che succede fuori. Ordina un Lagavulin che sorseggia sbuffando fumo da una lucky strike.
Starebbe bene anche con un sigaro.
Fuori, l'ennesimo coglione è caduto dal Toro. Sembra essersi fatto più male del solito, ma è l'orgoglio quello realmente ferito: è caduto salendo perché ha mancato la staffa.
Si ride e il Talebano gli offre un premio di consolazione.
Ulteriore umiliazione.
La ragazza col caschetto bruno che beve Lagavulin esce dal bar e con passo western si dirige nel parterre.
Nel breve percorso altri tre stupidi machisti vengono sbalzati sulla sabbia posata per l'occasione.
Arriva diretta dal Talebano.
Gli si illuminano gli occhi, al Talebano.
Sorride e cerca di intortarsela in qualche modo. Ma io punto su caschetto bruno, ha l'aria tosta.
Il maschietto prima di lei sta facendo il record: 49, 50, 51 secondi.
Cade. Ma si alza fiero. Esulta pure.
Se batti il record il giro te lo offro io, dice il Talebano a caschetto bruno.
Caschetto bruno indossa il cappello, infila i guanti.
Mi sembra di assistere ad un modern western.
Si avvicina al Toro accompagnata da Vinteig e Moicòl e solo ora mi rendo conto che indossa una gonna. Abbigliamento non proprio consono.
Monta il Toro con estrema naturalezza. Mi domando se arrivi direttamente dal Montana, dove per lei questo torello sarebbe una capretta.
Parte il cronometro.
Intanto servo qualche altra tequila e un paio di birre in bottiglia.
Discuto col barback di turno perché si perde in mille cazzate prima di fare quello che gli chiedo, servo qualche altra tequila e un miami al ragazzo del record che guarda fuori incredulo.
Mi giro incuriosito e la ragazza è ancora sul Toro.
Il cronometro segna tre minuti e quaranta.
Il bar da direttamente nel parterre, non resisto e esco a vedere.
Ad ogni sgroppata del Toro la ragazza si avvinghia sempre più alla sella e mi par di sentirla gemere.
I ragazzi intorno seguono in silenzio, le ragazze commentano seccate.
Percepisco anche un "puttana!" fra i denti di una biondina con tacco e gonnina seria.
E già. Lo spettacolo è decisamente per adulti: il toro sgroppa e lei mugola sempre più.
Siamo alla soglia dei cinque minuti.
La ragazza stringe le gambe quanto può intorno alla vita dell'animale.
Si piega in avanti sulla presa della sella e la prende con tutte e due le mani.
Sei minuti e quattro secondi.
Il Talebano è incredulo.
I maschietti intorno hanno visibilmente tutti l'ormone sulle spalle.
Le ragazze l'invidia.
E' come se stessimo assistendo ad un messaggio subliminale erotico durante la proiezione di un cartone animato: caschetto bruno si sta mordendo il labbro fino a farlo sanguinare.
Insomma sembra che stia scopando col Toro.
Il mondo attorno si è fermato: siamo tutti intorno al recinto.
Ad assistere increduli all'orgasmo della bruna.
Otto minuti e nove secondi, è un tempo breve, penso.
Per un orgasmo al femminile.
Ma io sono un uomo e non ne so niente, di orgasmi femminili.
Caschetto bruno urla sempre più, avvinghiata al Toro.
Fino a che non si lascia andare esausta.
Molla la presa, rilascia le gambe.
Ma è ancora sul Toro e ad ogni colpo le parte un mugolo.
Contando sulla tenuta delle staffe si piega all'indietro, mostrando a tutti il suo sguardo estasiato e le sue mutande bianche e bagnate.
Che iniziano a gonfiarsi.
Siamo tutti un po' preoccupati.
E con lo sguardo puntato in mezzo alle gambe della signorina torera.
Qualcosa di tondo le sta uscendo dalle mutande.
Seguito da un'altra pallina. E poi un'altra ancora.
Lo chiamano rosario del piacere.
Lo si infila tutto dentro e ci si va in giro, avendo costantemente un senso di piacere sessuale. Figuriamoci cosa può fare montando un toro...
Vinteig a questo punto spegne il Toro meccanico. Il cronometro segna dodici minuti e quarantasei secondi.
Parte un applauso tardivo e imbarazzato.
La ragazza scende, raccoglie il suo dildo, visibilmente appagata, e sparisce al piano sotterraneo.
Bene, ragazzi! Chi se la sente di battere questo record? Dice Moicòl.
Nessuna risposta. Tante teste chine. E qualche cazzo duro.

domenica 7 febbraio 2010

Vita da Bar. ep. 9 Cambio turno.


Moicòl ha una settimana di infortunio, Peterpenis tre giorni di ferie e io una settimana di turno giornaliero.
Caffè, tea, acqua. Camicia bianca e cravatta.
Vedo Polette, la Regina dei Calamari, ridere soddisfatta a qualche battuta di uno dei tanti froci di cui si circonda.
Polette Calamaro è la responsabile del turno di giorno e per lavorare con lei devi essere o una donna brutta, o un frocio, o un ragazzino efebo dalla sessualità ancora incerta.
Meglio se vergine.
Personalmente l'ho vista flirtare, ubriaca, con un amico quindicenne di suo figlio.
La mia dovrebbe essere una settimana punitiva e di riflessione, dopo il disastro del fusto di pandora, come lo chiamo io.
Punizione comminatami da Big Boss e Roi Boshe, l'altro socio di maggioranza, dopo un’attenta disamina dei fatti.
Passare dalle forme di vita primordiali della notte ai calamari del giorno in fondo è quasi un premio, ma ho lasciato intendere il contrario.
Polette Calamaro è ancora lì che se la ride, succhiando avida un negroni con Tanqueray e Guttalax, quando macchio i tre caffè freddo caldo e dec con il mio personalissimo ingrediente segreto. Sunrise, in gergo.
Sputare nelle tazze col labbro tumefatto mi fa sentire molto Tyler Durden, anche se qua non sono in una cantina da fight club e devo prestare molta attenzione perché l'intero bar è a vista.
Il collega del bar galleggiante, Driu, calamaro dichiarato, riempie la piattaforma di altri calamari che lo vengono a trovare. Calamaro conosce altro calamaro, la voce si sparge e in un attimo il bar di guerre stellari diventa il bar dei calamari giganti.
La cosa mi diverte anche un po'. Tutte queste checche in tiro per l'aperitivo rendono l'ambiente allegro e frizzante.
Quasi più sano.
Infatti, non ho paura a scendere a ground zero, dove ultimamente ho visto le peggio cose. Mi fa più paura il vecchio calamaro al banco che non mi molla un attimo: nell'ultimo campari shakerato gli ho messo ben trentotto gocce di lassativo e un vecchio frocio non dovrebbe avere una così buona tenuta degli sfinteri!
Eppure non molla, rimane lì attorno a rompermi i coglioni.
Se non fosse per lui la giornata filerebbe via quasi noiosa.
Quando accade qualcosa che mi fa riflettere sull'esistenza del Karma.
Si avvicina un cazzo di nord venusiano al banco. Attira la mia attenzione con un gesto e un monosillabo: hei.
Io mi avvicino, già scoglionato per come mi si è rivolto.
Dimmi, gli dico.
Dammi l'incasso. Dice.
Uh? Perché mai dovrei... il nord venusiano posa una pistola sul banco.
Buon motivo, penso.
Guardo fuori: Polette Calamaro è ancora al centro delle attenzioni dei suoi amici gay, Driu shakera energico qualche delizia per i suoi amici e clienti, nel parterre dietro il bar c'è il deserto.
Sbrigati, cazzone. Mi apostrofa il nord venusiano.
Nessuno mi può aiutare, perciò decido di non fare l'eroe e prendo l'incasso, quando il vecchio frocio torna al banco per importunarmi ancora. Fa per dirmi qualcosa, ma nota la pistola e me con una malloppazza di banconote in mano.
Capisce.
Rimane paralizzato dalla paura.
E le mie trentotto gocce di lassativo fanno effetto: il vecchio si caga addosso.
Il nord venusiano lo guarda schifato, mentre prende i soldi e gli dice di lavarsi che puzza di merda. Ti sparerei, se fosse vera. Aggiunge andandosene. E dal tono con cui l'ha detto gli credo.
In un attimo è scomparso. Il vecchio si allontana camminando come se fosse in un sacco.
Incrocia Polette Calamaro, brilla, che sta entrando e che agitando la mano sotto il naso mi dice ridacchiando e in playback: come puzza.
Io non so se mi sto tenendo alla macchina del caffè o se sto tenendo la macchina del caffè.
Ma immagino che la mia prossima punizione sia pulire i cessi.

giovedì 4 febbraio 2010

Vita da Bar. ep. 8 Soluzioni.

Peter ha fatto un casino. C'è sangue dappertutto, in magazzino. Ha preso a calci nel culo Moicòl fino a fargli scoppiare un testicolo. Lo ha lasciato per terra in un lago di sangue.
Lui invece è seduto in un angolo che si tiene la testa tra le mani.
Sua sorella ha collassato e sta vomitando da svenuta.
E a me sembra di stare in un film di Tarantino.
Il problema è che non sono Wolf e che non risolvo problemi.
Di solito.
Adesso sto tamponando Moicòl con uno strofinaccio che probabilmente gli provocherà un'infezione e penso che dovrò anche tamponare l'assenza di due bartender e un barback prima che uno dei titolari presenti se ne accorga.
Dico a Moicòl di tenere premuto sul testicolo, di non preoccuparsi, che vado a chiamare un ambulanza.
Mi supplica di non lasciarlo solo con Peterpenis.
Peter ormai non è più un problema, ha sbollito.
Il problema sarà spiegare tutto 'sto casino a un casino di persone.
Esco dal magazzino e incontro Vinni Vinteig che ci sta cercando.
No. Non so dove siano gli altri. Sai come sono Peter e Moicòl, dico a Vinni.
Saranno in qualche bagno a farsi fare un pompino. Aggiungo.
Devi entrare, gli chiedo facendo il gesto di aprire la porta del magazzino.
No. Vi stavo solo cercando. Dice Vinni.
Vinni è un altro dei miei capi.
Fuori uno.
Salgo di corsa al bar dove le due bartender rimaste hanno il loro bel da fare con gli scienziati. I quali non sono contenti quando ne rapisco una.
Moicòl, Peterpenis, cazzo, sorella, cinghia, calci, sangue, casino.
Spiego velocemente l'accaduto alla collega. La mando giù di sotto con la cassetta del pronto soccorso mentre io chiamo i pompieri e dico che c'è un uomo in mare all'entrata del bar.
Mordicchio dalla cassa si accorge che qualcosa non va.
Sta per telefonare a uno dei soci.
Devo fare qualcosa, ma cosa? Non posso mica stenderla con una testata.
Se ne accorgerebbe.
Però posso stendere qualcun'altro con una testata.
Do un occhiata veloce al banco, punto il più grosso, in compagnia di altri tre giganti venusiani, mi avvicino e rapido lo colpisco al naso, poi mi metto a urlare di non provarci mai più, insultandolo e minacciandolo.
Ho attirato l'attenzione di Mordicchio e della sicurezza che interviene.
Michelle, la bartender trans, mi allontana dal banco attonita, mentre Giubeca e i suoi colleghi hanno il loro bel da fare a tenere il tipo col naso fracassato e i suoi amici che vorrebbero linciarmi.
Adesso c'è abbastanza casino. Scendo rapido in magazzino, dove Francine ha prestato i primi soccorsi a Moicòl. Lo prendo di peso, lo carico sull'ascensore e lo porto al primo piano.
Nel dance floor intanto si è scatenato il finimondo.
Nessuno si accorge di me e Moicòl seminudo. Lo trascino fino alla passerella che collega la terraferma allo Star Wars Bar, lo prendo in braccio e lo caccio in acqua.
Appena in tempo, vedo i lampeggianti dell'unità sommozzatori dei pompieri in fondo al ponticello.
Riscendo a ground zero, prendo la sorella di Peterpenis e la trascino nel primo bagno libero. Gli poggio la testa sulla tazza affinché non soffochi nel suo vomito.
Intanto ho rimandato Francine al bar.
Adesso rimane solo la pozza di sangue da nascondere.
Esco dal bagno e una mano gigante chiusa mi arriva sulla faccia.
Mi rompe il labbro e mi scheggia un dente.
E' un amico di quello cui ho rotto il naso.
Non so come faccio ma riesco ad evitare il secondo pugno.
Mi infilo in magazzino e vado a vomitare sangue nella pozza lasciata da Moicòl.
Mai stato tanto contento di prendere un pugno in faccia.
Fuori sento la sicurezza che prende il venusiano, poi sento aprire la porta. Sono Vinni, Big Boss, il Talebano e Mordicchio.
Zoiberg è rimasto in consolle.
Mi chiedono cos'è successo.
Ha rubato una bottiglia, rispondo.
Non faccio in tempo a congratularmi con me stesso per aver risolto tutto in maniera così geniale quando una voce alle spalle dei miei capi dice:
"Si è scopato mia sorella."
Vinni, B.B., il Talebano e Mordicchio si girano.
Cazzo, no! Ho dimenticato Peterpenis!
Wolf non avrebbe mai commesso una simile leggerezza...
E con questo labbro gonfio non posso nemmeno abbozzare un sorriso di circostanza.
...

mercoledì 3 febbraio 2010

Vita da Bar. ep. 7 Il Fusto di Pandora.

Moicòl è lì basito che mi guarda rivestirmi frettolosamente.
La sorella di Peterpenis si svacca per terra e gli chiede una sigaretta.
Io inizio a dire a Moicòl che no, non è il caso che lo dica a Peter, che è una cosa che è meglio che ci teniamo per noi e altre cazzate del genere.
Moicòl mi fa un gesto con la mano che non capisco. Sembra voler dire stai zitto, ma non va d'accordo con lo sguardo, visto che non stacca gli occhi dalla sorella di Peter (di cui non so ancora il nome). Le si avvicina, tira fuori una siga e poi le dice:
"E ora come la mettiamo?"
Lei allunga la mano per prendere la sigaretta, ma lui non ha nessuna intenzione di offrirgliela.
Io continuo a non capire.
Guarda come ti sei ridotta, le dice con sprezzo. Sei di nuovo fatta.
Vuoi farmi il cazzettone? Dice lei.
In realtà avevo in mente qualcos’altro, dice Moicòl slacciandosi la cintura.
Continuo a non capire.
Si sfila la cinghia completamente e ne arrotola un pò sulla mano.
Ho paura di intuire.
Poi si slaccia la patta.
Sono di nuovo confuso.
Lei lo guarda strafatta ma tranquilla. Nemmeno un’ombra di paura.
Anzi dice che le pare un'ottima idea.
Moicòl ora ha le braghe calate e con il cazzo in bella mostra continua da dove mi ha interrotto e quando lei dice fammi male ecco che parte un bel colpo di cinghia.
Ora il basito sono io, ma so che quantomeno la cosa rimarrà fra noi tre.
Moicòl se la schiaccia di gusto, prendendola a cinghiate e insultandola fino alla settima generazione a venire e passata.
Drogata! Gli dice pure. Che nel contesto mi fa sorridere.
Mi slaccio i pantaloni tentato di buttarmi nella mischia, quando mi si gela il sangue:
Allora sto cazzo di fusto c'è qualcuno che lo cambia... sta per dire Peterpenis, quando si ritrova davanti il suo collega sbracato, il suo miglior amico con l'uccello dentro a suo sorella, la cinghia in mano e lei strafatta che dice fammi male.
A giudicare dall'espressione che ha, anche Mr Cazzman e le Fantafichette che gli girano nel cervello si sono fermate a vedere ciò che sta succedendo.
E mi vien da sospettare che abbiamo rovinato un'amicizia, un rapporto di lavoro e una relazione familiare. Oltre che un ragazzo nel fiore degli anni.
A questo punto mi ritiro su la zip e mi impegno nel cambiare il fusto di pandora. Così, almeno, se succedesse ancora qualcosa non saremo più interrotti...

martedì 2 febbraio 2010

Vita da Bar. ep. 6 Sorpresa.

Il capodanno venusiano è passato senza danni, se l'è portato via la pioggia torrenziale, diluviana.
E' tradizionale, mi dicono i venusiani scesi sulla terra.
Porta bene.
E' come la nostra neve a natale: rompe i coglioni, dico io.
Ho servito uno scotch on the rocks a Noè, che aveva attraccato l'arca accanto al bar galleggiante oltre gli spessi vetri della cella di magneto.
Nel bar galleggiante avrebbe dovuto lavorare l’Ispanica, Dementir e non so chi altro, ma la pioggia mondatrice ha mandato all'aria tutto.
Il bar galleggiante è un’appendice della cella, dove si annusa il profumo della libertà storditi dalla tequila e dal beccheggio della piattaforma.
A capodanno sembrava un riparo di fortuna su un'isola deserta.
Oggi, visto dalla mia postazione, sembra un capanno su una spiaggia affollata.
Peterpenis, il mio collega, offre una birra a due tette poggiate sul banco in cambio di languidi sguardi e un numero di telefono: lui ha solo due neuroni e so per certo che uno è a forma di fica e l'altro di cazzo. L'immagino rincorrersi fra loro come Mr Pacman e i fantasmini.
La cassiera distribuisce sorrisi finti e resti contati. Mi sembra a disagio, un po' tesa in quel corpo nervoso e ossuto.
L'altra bartender si diverte ad abbagliare tutti con il flash della sua nuova fotocamera.
Giubeca è alla porta, che urla.
Giabba De At tocca il culo delle ragazzine e il pacco dei ragazzini con il suo lungo tentacolo che striscia in mezzo al dance floor, standosene comodamente seduto sul suo personale triclinio a bere appletini.
Fra il bar galleggiante e la cella di magneto scoppia una rissa subito sedata dai sottoposto di Giubeca.
Insomma tutto è tornato alla normalità.
Vedo la rossa rosso vestita salutare Peterpenis e uscire dal bar.
Mi aspetto che anche Peter esca a momenti, visto l'attimo di tregua che gli scienziati travestiti da avventori ci hanno dato (ho sempre sospettato di essere null'altro che un esperimento).
E invece no! Non esce, non la segue. Si gira verso di me con l'aria compiaciuta e tronfia, ma non esce a seguirla.
Mi dice qualcosa che non riesco a sentire per il livello della musica.
Io annuisco e sorrido accondiscendente.
Servo due cosmopolitan, un medusa, ben tre iggy pop e poi vado in pausa.
Ho appena acceso la sigaretta che Peterpenis mi dice che è finita la birra.
Gli urlo che ci penso io. Lui mi mostra il pollice alzato e poi torna a scatenarsi fra le sue fans.
Scendo a ground zero, dove oltre i cessi e gli spogliatoi c'è il magazzino.
Incrocio la rossa di rosso vestita, io vado in una direzione lei nell'altra.
Apro la porta del magazzino e spingo con il piede il fusto da trenta Kg dentro.
Faccio per chiudere, quando la rossa mi spinge dentro, tirandosi dietro la porta. Rimango un attimo perplesso, ma lei non perde tempo.
Mi spinge fino allo scaffale, mi butta la lingua in bocca e con le mani ha già preso possesso del mio cazzo.
La discosto leggermente e la guardo negli occhi a spillo. E' chiaramente strafatta, ma non capisco di cosa.
Lei sorride, poi, rapida, ingoia la mia salsiccia.
A questo punto non me ne frega più un cazzo di quanto e cosa è fatta.
Sogghigno per un secondo pensando a Peter e a cosa dirà, quando glielo dirò.
La rossa smette di succhiare e si tira su la gonna, mi sussurra di sbatterla come più mi piace, mi dice che vuole dimenticare il suo nome.
Il suo sussurro è un ordine e io obbedisco.
Da dietro le sto tenendo entrambe le braccia all'altezza dei polsi e la sbatto con impegno, facendole sbattere la testa sulla scaffale. Sembra che le piaccia.
Se proprio vuoi venirmi dentro, mi dice con la sua voce impastata, vienimi nel culo, però.
Che cazzo me ne frega, penso.
Non vorrai far diventare Peterpenis di nuovo zio, dice lei.
Cosa? Dico io
Le mollo i polsi, si gira a guardarmi e capisce che non avevo la più pallida idea di chi fosse. E adesso, cazzo, me ne frega eccome!
Ora non ghigno più al pensiero di cosa dirà Peterpenis.
Ora penso che ho un dilemma etico: cosa gli dirò per primo? Che mi son fatto sua sorella o che era strafatta di roba?
Dilemma che dura poco: mi ricordo adesso perché sono in magazzino e quando mi giro vedo Moicòl, il barback, che era venuto a sostituire il fusto che io non ho ancora cambiato.
E' pappa e ciccia con Peter e prima che io mi sia richiuso la cerniera gli avrà già comunicato una delle due cose.
A questo punto mi rimane una sola priorità: cambiare sto cazzo di fusto di birra... sia maledetta la pausa lunga.

lunedì 1 febbraio 2010

Vita da Bar. ep. 5 E il Capodanno deve ancora cominciare!

Entro nella cella di magneto ancora un po' incazzato per la storia del Talebano e gli Haitiani.
Me la faccio passare perché c'è da fare e fare da incazzati significa fare male. E io voglio fare bene.
Il bar è stravolto per esigenze televisive e io incrocio vip e facchini che si aggirano come se fossero nei propri camerini: chi gira col piatto caldo, chi con i bigodini in testa, chi porta grosse casse con il carrello e chi va dietro a grossi pacchi.
Scendo a ground zero per prendere le mie cose e fare la mia pisciata pre -lavorativa.
Come in molte aziende i cessi e gli spogliatoi sono vicini, a volte addirittura in comune.
Incontro Giubeca, Predator e Magilla Gorilla, un po' frastornati e confusi per via della concomitanza di agenzie di sicurezza: c'è anche quella del network, molto più professionali.
L'ho appurato sulla mia pelle.
Parlano fra di loro e non posso fare a meno di chiedermi come facciano a capirsi.
Meglio non porsi domande di cui non esistono le risposte.
In fondo al corridoio, passati tutti gli altri cessi, c'è quello riservato al personale.
Ma subito prima sento un mugolio: una porta è socchiusa e io sbircio volontariamente. Un predator mix alien (sono tutti uguali quelli della sicurezza della tv, li prendono dopo un provino) lo sta spingendo in culo a quella rizzacazzi a cui ho dato una bottigliata, che mugola come una gatta dalle forme di una vacca in calore.
Diciassette anni e non sentirli, penso.
Per un attimo sudo freddo pensando alle conseguenze di ciò che sto vedendo e immagino lei che torna su con lui per giustiziarmi come meglio crede.
Penso anche che alla fine 'sti Haitiani non sono poi molto più professionali dei nostri calabro-napoletani (giubeca non so di dove sia).
Poi penso che alla fine della scopata lui penserà di essersi fatto una bella scopata in cambio di un favore e la cosa finirà lì.
In tutto questo turbinio di pensieri voyerizzo i due che sembrano proprio divertirsi, fino a quando l'Haitiano tira fuori il cazzo dal culo della troietta.
Allora capisco che forse lei o si è divertita tantissimo o non si è divertita per un cazzo: il cazzo, appunto, del predator mix alien è veramente grosso.
Grosso e lungo.
Come mai ho visto neppure nei peggiori porno di Caracas.
Ecco perchè Giubeca & C. erano confusi e frastornati.
Non riesco a togliere gli occhi dal minchione gigante, quando mi appoggio alla porta socchiusa.
Sto per pagare caro il mio voyeurismo.
La porta si spalanca e io precipito in mezzo alla stanza (che per essere un cesso è abbastanza grosso).
La mucca mi guarda fra il sorpreso e lo stravolto.
L'Haitiano si gira guardandomi attraverso i suoi occhiali termici e puntandomi contro l'arma più temibile che ha a disposizione.
Io abbozzo una scusa puerile e lui fa un passo verso di me.
Io un passo indietro.
La mammellata rimmellata dietro di lui comincia a rivestirsi.
Ed è allora che pronuncio le parole che mi salveranno la vita: " Lo sai che ha diciassette anni, vero?"
Naa! Non lo sapeva.
Si gira a guardare la rizzacazzi e io sparisco.

Sono al banco, quando vedo tre Haitiani portarne via un quarto sanguinante e tumefatto e altri due prestare i primi soccorsi a una ragazzina. Li hanno trovati nei bagni seminudi. Sembra che lui l'abbia violentata.
Qualcuno è stato avvisato da qualcun altro.
E io son pronto a prendere servizio.
Soddisfatto del lavoro fatto.