In questi racconti viene usato spesso un linguaggio esplicito e volgare per una mia precisa scelta. Mi sembra corretto avvisare i potenziali lettori in modo che possano scegliere se continuare con la lettura o meno.





domenica 4 luglio 2010

Vita da bar ep. 33 L'Orlando Furioso.

Finisce con me che incenerisco tutte le Hack che si presentano al banco in un attacco di misoginia. Quando termina lo stillicidio del contatto pubblico e i buttafuori liberano le sale sbrigo il lavoro di routine in silenzio, creando tensione fra i miei colleghi che non capiscono il mio atteggiamento scostante.
Finito il mio, saluto appena e scendo a Ground Zero per cambiarmi. Rinuncio perfino all'irrinunciabile facile vittoria contro la nazionale albanese di calcio-balilla.
Mi metto una camicia pulita e profumata su un corpo sudato, cambio le scarpe e faccio per uscire quando incontro il Talebano con la Manga Girl.
Ho subito un istinto omicida verso il Talebano: non può schiacciarsi il mio amore della sera. Non nella stessa sera in cui è il mio amore, almeno.
Poi ho un istinto omicida anche verso la Manga Girl. Cazzo! Non con il Talebano. Peter, Duca, Regina Tequila. Va bene tutto ma non il Talebano.
Li apostrofo in malo modo, senza pensare che uno è il mio capo. Uno dei miei capi.
Il Talebano non da peso al mio modo scortese, mentre la Manga Girl mi guarda sgradevolmente sorpresa.
“Devo dedurre che non ho fatto una buona valutazione della tua persona.” Mi dice.
Perché ogni volta che comprendo le parole della ragazza di cui mi sono innamorato stasera mi sembrano senza un significato logico?
“Deduci quel che cazzo ti pare.” Continuo scortese, ferito al cuore.
“Credo che sia giunto il momento delle presentazioni.” Interviene il Talebano, sorpreso anche lui dal mio atteggiamento, questa volta.
“Me la presenterai domani.” Dico andandomene, sopra al suo: “Lei è la nostra nuova capo del personale, Akane Tendo.”
Ormai li ho superati. Mi fermo per due motivi. Uno è che il Talebano non è con la Manga Girl per schiacciarsela. E questo è un buon motivo. Il secondo è che ci ho provato tutta la sera con il nuovo capo del personale. E questo non so se è un buon motivo. Ora devo trovare la soluzione a un problema etico: andarmene e creare un personaggio scostante e antipatico o presentarmi con tanto di scuse spiegando un inspiegabile malinteso?
Mi giro e tendo la mano alla nuova capo del personale.
“In realtà ci siamo già presentati.” Mi dice lei stringendomi comunque la mano.
“Scusa. Ho avuto una serata difficile.” Le dico.
“Non mi sembrava, fino ad un'ora fa.” Mi risponde ambigua.
“Precisamente quale sarebbe il tuo compito?” Chiedo indispettito da questa situazione imbarazzante.
“Fare una valutazione del personale già esistente, verificare che siano professionali e che non offrano da bere alle belle ragazze.” Sorride sottolineando l'ultima parte della concisa ma esaustiva spiegazione.
“In realtà non sono un capo del personale ma una sorta di commissario esterno che vi ha valutato in questa settimana.”
Una spia del cazzo, penso.
“Senza dirci nulla.” Dico piccato.
“Era per svolgere meglio il mio lavoro.”
Ok, una spia del cazzo.
“Bene Akane, l'ho presa la sufficienza?” Chiedo sarcastico.
Akane guarda il Talebano come a chiedere il permesso di svelare il voto.
Il Talebano consente scrollando le spalle.
Akane mi allunga una copia di un rapporto.
“Non è concluso, sono scesa appunto per completare i rapporti.”
Prendo il foglio senza distogliere lo sguardo dalla Manga Girl. Il Talebano si avvia in ufficio, una porta prima degli spogliatoi.
Per un secondo rimaniamo soli, io e Akane.
“Ma allora ho frainteso tutto?” Sibilo.
Akane mi guarda negli occhi: “E' una buona valutazione, Solo.”
Deglutisco a fatica.
“Anche se ti ho offerto da bere due volte?”
“Ti ho osservato tutta la settimana blablabla...” Non la ascolto più.
“Ho davvero frainteso tutto?” Questa volta il sibilo è più alto.
Akane si zittisce. “Devo andare. Ho un lavoro da terminare.” E mi lascia li, sulla soglia di un corridoio che puzza di latrina, solo e sconsolato.
Accartoccio il rapporto senza leggerlo e lo butto nel cesso con un tiro da tre, come nel basket, superando ben due porte ad angolo retto l'una con l'altra.
Akane è ancora sulla porta dell'ufficio.
La chiamo.
Non si gira.
“Anche se ho frainteso ne è valsa la pena.” Non urlo, ma sono sicuro che mi abbia sentito.
Il vero peccato sarebbe averci visto giusto, penso uscendo.
Ma ho l'impressione che questo non lo scoprirò mai.

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