In questi racconti viene usato spesso un linguaggio esplicito e volgare per una mia precisa scelta. Mi sembra corretto avvisare i potenziali lettori in modo che possano scegliere se continuare con la lettura o meno.





domenica 28 marzo 2010

Vita da Bar ep. 23 Dalla parte del cliente.

L'autrice di questo episodio è Principessa Leila

Spinta da un’amica giovanilista e ingrata mi ritrovo a visitare passiva le grazie notturne del magico nostro centro historico. Vestita come una foca a un matrimonio non riesco a mascherare il mio forse ingiustificato ma comunque limpidissimo disagio. I tacchi indossati coattivamente per “slanciare la figura” si piantano in ogni buco e la collana creativa per “omaggiare il decolletè” ciondola e sbatte contro le tette e tutto ciò che trova intorno. Ridotta in uno stato quasi ipnotico con un sorriso ebete senza aver beneficiato di alcuna sostanza illecita, ma neanche lecita, mi lascio trascinare dalla corrente e seguo il flusso continuo di parole che come un filo lega la bocca di Amanda al mio orecchio destro; il sinistro è incantato sul comizio del partito comunista dei lavoratori incrociato ore prima. Qualcuno aveva urlato ”tu lavoratore hai un unico modo per cambiare la tua vita: ritornare all’unità della tua classe e fare a pezzi le meschine e malaugurate politiche borghesi”. Nel frattempo all’ennesimo buco incagliato dal mio tacco un topo dal sottosuolo bestemmia.
Eccoci arrivate al famoso locale “in” di cui tanto mi avevano parlato. Me ne accorgo perché siamo ferme e intorno a me ci sono tutti appiccicati maschi tatuati troppo abbronzati e femmine seminude troppo attroiate. È la coda per entrare. Mi chiedo se anche nell’aldilà ci saranno code per varcare soglie decisive per il nostro soggiorno ultraterreno. Penso che in tal caso non mi arrabbierei perché non deve essere facile gestire un tale traffico. Intravedo alla fine della fila un omone iperproteinizzato in evidente crisi ormonale occuparsi del check in. Sarà lui che dovrà giudicarmi per ora, qui in questa vita di stenti e cotillons. Mi chiedo se si accorgerà del mio travestimento da foca e se questo in tal caso potrebbe pregiudicare il mio ingresso. Mi chiedo anche come si vive lui la sua evidente sproporzione, se ha mai pensato a un innesto chirurgico di cuscinetti di silicone nei polpacci e nelle cosce e nei piedi. Mi chiedo quanto silicone implicito mi circondi e poi in un battibaleno in un menchenonsidica sono passata e cammino leggiadra sulla passerella di legno tipo yacht. Guardo indietro per salutare l’uomo di mezza età, per ringraziarlo di aver chiuso un occhio per quella specie di cozza che ho appesa al collo, ma la corrente è forte e decisa, i calciatori e le veline sono eccitati, stiamo per fare il nostro ingresso nella nostra villa sul mare, mica a Certosa, ci sentiamo tutti belli anzi fighi, anzi fichi e chi più ne ha più ne butta.
Finita la passerella finito il momento Naomi Campbell. Percepisco di nuovo la ciccia muoversi in sintonia con il mio corpo. Eccomi. Sono la Lalla. Sono allo star wars bar

Si è vero. È decisamente in. Tutto molto campari. Sesso implicito. Astinenza elevata. Musica trans gender core. Ma nonostante il bello fuori che mi circonda non posso fare a meno di percepire un brutto dentro che dal fondo buio dell’intestino si dirige velocemente verso la prima vertebra cervicale. Ho un mancamento. Devono essere state le politiche borghesi.
Il viaggio dalla posizione eretta alla madre terra è lento e ovattato. Intorno, un frullatore di colori inghiotte tutti i denti sorridenti di giovani sudati e poi travolge anche me. Tump. ...
Mi risveglio con un dolore medio alla spalla destra, quella sinistra dorme ancora. Sono accasciata dietro alla consolle del dj insieme a dei caschi aerografati un grosso cane peloso mi lecca la faccia e qualcuno mi ha rubato la cozza dal collo. Amanda balla scalza tipo janis joplin, la platea la guarda incredula. Provo ad alzarmi ma mi sorprende un conato. Mi rendo conto che un odore fastidioso stà infastidendo il mio stomaco vuoto. Si tratta di puzza. Precisamente puzza di zolfo.
Mi arrendo alla gravità e dal mio punta di vista terreno osservo il dj. Magro smilzo con i cuffioni più grandi di lui muove la testa come quei gattini pelosi che si mettevano sul lunotto posteriore negli anni 70. Con le mani schiaccia pulsanti alza e abbassa levette sembra lavorare alla fusione a freddo. La musica gender core fa spesso questo effetto. Sandali di cuoio, bermuda nepalesi, t shirt nera. Il pubblico sembra non apprezzare il suo universo sonoro. Forse non l’hanno capito forse non si può capire, comunque lui sembra non appartenere alla sala, sembra non appartenere a nessuno. Cane sciolto? (in che senso?) bho. Eppure mi sembra di averlo conosciuto, “forse in un'altra vita” penso. La puzza di zolfo si fa pesante. Faccio per alzarmi e una grande mano con grande anello e unghia lunga si materializza davanti a me. Appartiene a un signore distinto vestito di bianco. Sembra il re definitivo dei papponi. Mentre spendo un altro nanosecondo per decidere se aggrapparmi o meno a lui, sono già in piedi, la nausea è passata e sento uno strano solletichio nelle mutande. Non faccio in tempo a capire chi e cosa, che sto attraversando la sala dietro alla sua grande giacca bianca come una calamita sui pattini e in una decina di nanosecondi mi ritrovo lasciva naso-naso con lui appesa al banco bar.
“Non preoccuparti per le mutande, è un effetto collaterale. Voglio solo bere in compagnia. Adoro il tuo vestito da foca” Sono smarrita. È un po' troppo per una abituata a guardare sos tata. Tutte le mie certezze si sciolgono e si rimescolano con una bandierina di carta in un bicchiere di godfather.

“Una gazzosa per la mia amica”. Il barista mi serve immediatamente. Alzo gli occhi cercando complicità, mi chiedo se anche il barman ha strani poteri diabolici…ma su due piedi non direi, non sembra capire. “Grazie Eroto” mi esce così senza pensare. Vite precedenti? Piacevoli divertenti pericolose vite precedenti. Ormai ho gettato la spugna non cerco di trovare un senso a tutto ciò che mi sta succedendo e mi lascio divorare da un micidiale cerchio alla testa, tutto è annebbiato, realizzo che è proprio il momento di andare a casa e che sono disposta ad andarci anche strisciando e che, anzi, sarebbe un ottima occasione per chiedere scusa ai topi. Lascio il bancone e ciondolante cerco Amanda ma trovo solo le sue scarpe. Eccomi sulla passerella al contrario, ora devo raggiungere la terra ferma che ferma da qui non mi pare proprio. Il mare nero intorno sembra cocacola sgasata. Da una barchetta a pochi metri qualcuno mi chiama , ormai mi aspetto il peggio. È Amanda in un guscio di noce con su scritto “prima o poi torno”, il suo sorriso malizioso lo riconosco anche a distanza, è avvinghiata a un fricchettone, con rispetto parlando, di quelli che non se ne vedono più in giro, con capelli lunghi e simbolo della pace sulla maglietta. Le lancio le scarpe sbagliando completamente traiettoria. Il capellone scende dalla barca, si incammina sull’acqua e le raccoglie una ad una. Amanda mi lancia un occhiata che con la giusta amplificazione avrebbe suonato come “hai capito, il ragazzo?!” . Ok. Dov’è l’astronave? I fasci di luce, i cavalli dell’apocalisse, il risuscito dei morti e il maxi processo? E' forse una cazzo di candid camera interplanetaria? State ridendo piccoli cazzo di omini verdi puzzolenti vomita schiuma? Vi sentite migliori solo perché non andate allo stadio e vi spostate nello spazio dentro a quelle piadine luminescenti ultra designe? Sapete perché nessuno riesce mai a scattarvi una cazzo di foto decente? Perché siete brutti come la f ...
“Signorina non faccia così, guardi; qualcuno ha ritrovato la sua collana mi ricordo di avergliela vista al collo. Lei deve essere una donna molto creativa.” Non avrei mai pensato di provare tanta gioia nel rivedere il signore dopato dell’ingresso, non si finisce mai di ingrassare. Dopo aver chiaccherato amabilmente, mentre io dormivo, con una stretta al braccio che non so se attribuire allo slancio d’affetto o a un eccesso di sclero da stanchezza, il mio nuovo amico mi scaraventa sorridente dentro a un taxi. “è finita” penso senza crederci troppo. ****

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