In questi racconti viene usato spesso un linguaggio esplicito e volgare per una mia precisa scelta. Mi sembra corretto avvisare i potenziali lettori in modo che possano scegliere se continuare con la lettura o meno.





martedì 2 febbraio 2010

Vita da Bar. ep. 6 Sorpresa.

Il capodanno venusiano è passato senza danni, se l'è portato via la pioggia torrenziale, diluviana.
E' tradizionale, mi dicono i venusiani scesi sulla terra.
Porta bene.
E' come la nostra neve a natale: rompe i coglioni, dico io.
Ho servito uno scotch on the rocks a Noè, che aveva attraccato l'arca accanto al bar galleggiante oltre gli spessi vetri della cella di magneto.
Nel bar galleggiante avrebbe dovuto lavorare l’Ispanica, Dementir e non so chi altro, ma la pioggia mondatrice ha mandato all'aria tutto.
Il bar galleggiante è un’appendice della cella, dove si annusa il profumo della libertà storditi dalla tequila e dal beccheggio della piattaforma.
A capodanno sembrava un riparo di fortuna su un'isola deserta.
Oggi, visto dalla mia postazione, sembra un capanno su una spiaggia affollata.
Peterpenis, il mio collega, offre una birra a due tette poggiate sul banco in cambio di languidi sguardi e un numero di telefono: lui ha solo due neuroni e so per certo che uno è a forma di fica e l'altro di cazzo. L'immagino rincorrersi fra loro come Mr Pacman e i fantasmini.
La cassiera distribuisce sorrisi finti e resti contati. Mi sembra a disagio, un po' tesa in quel corpo nervoso e ossuto.
L'altra bartender si diverte ad abbagliare tutti con il flash della sua nuova fotocamera.
Giubeca è alla porta, che urla.
Giabba De At tocca il culo delle ragazzine e il pacco dei ragazzini con il suo lungo tentacolo che striscia in mezzo al dance floor, standosene comodamente seduto sul suo personale triclinio a bere appletini.
Fra il bar galleggiante e la cella di magneto scoppia una rissa subito sedata dai sottoposto di Giubeca.
Insomma tutto è tornato alla normalità.
Vedo la rossa rosso vestita salutare Peterpenis e uscire dal bar.
Mi aspetto che anche Peter esca a momenti, visto l'attimo di tregua che gli scienziati travestiti da avventori ci hanno dato (ho sempre sospettato di essere null'altro che un esperimento).
E invece no! Non esce, non la segue. Si gira verso di me con l'aria compiaciuta e tronfia, ma non esce a seguirla.
Mi dice qualcosa che non riesco a sentire per il livello della musica.
Io annuisco e sorrido accondiscendente.
Servo due cosmopolitan, un medusa, ben tre iggy pop e poi vado in pausa.
Ho appena acceso la sigaretta che Peterpenis mi dice che è finita la birra.
Gli urlo che ci penso io. Lui mi mostra il pollice alzato e poi torna a scatenarsi fra le sue fans.
Scendo a ground zero, dove oltre i cessi e gli spogliatoi c'è il magazzino.
Incrocio la rossa di rosso vestita, io vado in una direzione lei nell'altra.
Apro la porta del magazzino e spingo con il piede il fusto da trenta Kg dentro.
Faccio per chiudere, quando la rossa mi spinge dentro, tirandosi dietro la porta. Rimango un attimo perplesso, ma lei non perde tempo.
Mi spinge fino allo scaffale, mi butta la lingua in bocca e con le mani ha già preso possesso del mio cazzo.
La discosto leggermente e la guardo negli occhi a spillo. E' chiaramente strafatta, ma non capisco di cosa.
Lei sorride, poi, rapida, ingoia la mia salsiccia.
A questo punto non me ne frega più un cazzo di quanto e cosa è fatta.
Sogghigno per un secondo pensando a Peter e a cosa dirà, quando glielo dirò.
La rossa smette di succhiare e si tira su la gonna, mi sussurra di sbatterla come più mi piace, mi dice che vuole dimenticare il suo nome.
Il suo sussurro è un ordine e io obbedisco.
Da dietro le sto tenendo entrambe le braccia all'altezza dei polsi e la sbatto con impegno, facendole sbattere la testa sulla scaffale. Sembra che le piaccia.
Se proprio vuoi venirmi dentro, mi dice con la sua voce impastata, vienimi nel culo, però.
Che cazzo me ne frega, penso.
Non vorrai far diventare Peterpenis di nuovo zio, dice lei.
Cosa? Dico io
Le mollo i polsi, si gira a guardarmi e capisce che non avevo la più pallida idea di chi fosse. E adesso, cazzo, me ne frega eccome!
Ora non ghigno più al pensiero di cosa dirà Peterpenis.
Ora penso che ho un dilemma etico: cosa gli dirò per primo? Che mi son fatto sua sorella o che era strafatta di roba?
Dilemma che dura poco: mi ricordo adesso perché sono in magazzino e quando mi giro vedo Moicòl, il barback, che era venuto a sostituire il fusto che io non ho ancora cambiato.
E' pappa e ciccia con Peter e prima che io mi sia richiuso la cerniera gli avrà già comunicato una delle due cose.
A questo punto mi rimane una sola priorità: cambiare sto cazzo di fusto di birra... sia maledetta la pausa lunga.

Nessun commento:

Posta un commento